Il robot che visita un sarcofago egizio di 3mila anni fa: al Tecnopolo di Piacenza il futuro è già arrivato

La nuova frontiera della ricerca: il reperto archeologico diventa una nuvola di pixel e viene mappato in 3D. Le immagini

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ultima modifica 2023-03-24T15:44:33+02:00
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Come conoscere meglio un reperto antico senza toccarlo? Come poterlo studiare, confrontarlo con altri dello stesso tipo, capire meglio come restaurarlo, trasportarlo, e conservarlo? ‘Ci pensa il robot’

introduzione

E’ un primo esperimento ma avrà senz’altro un futuro. Al tecnopolo di Piacenza un sarcofago di 3000 anni fa è passato sotto la lente di un robot, per mapparne la superficie, capire meglio il suo stato di deterioramento, studiarlo nei dettagli e anche replicarlo utilizzando una mappatura in 3 D. Il tutto senza toccarlo con un dito e quindi senza comprometterne la fragile struttura. Si apre quindi una nuova frontiera per lo studio dei reperti archeologici che passa proprio dalla robotica, anche nel nostro territorio.

L’unione di intenti crea nuove soluzioni

SarcofagoL’occasione per poter studiare in modo innovativo l’antico reperto proveniente dal museo Archeologico di Bergamo, è stata l’esposizione alla mostra "Egitto Svelato", appena conclusa al Palazzo Gotico di Piacenza.

Il sarcofago è stato in seguito sottoposto a una analisi innovativa, grazie a un'azione congiunta tra il Comune di Piacenza, l’Istituto Europeo del Restauro e il Consorzio Musp, (Macchine utensili e sistemi di produzione), il laboratorio in cui è stato mappato il reperto, nella sede Casino Mandelli del Tecnopolo di Piacenza.

Come funziona il robot?

Robot

Ruota attorno all’oggetto a 360 gradi, fotografandolo con una telecamera e rilevandone la superficie senza entrarne in contatto. Si ottiene così la geometria del sarcofago ad alta precisione, una "nuvola di punti", che consiste nella mappatura digitale in 3D.

I vantaggi della scannerizzazione del reperto sono molteplici: ottenere informazioni precise sullo stato disarcofago scannerizzazione conservazione, la raccolta di dati che possono essere utilizzati per creare supporti per le esposizioni o per il trasporto, un confronto più dinamico con altri  reperti dello stesso genere per la comprensione più approfondita delle tecniche costruttive e infine anche la replica del manufatto.

Il sarcofago proviene da Luxor, l'antica Tebe e risale al 900-800 a.C, appartiene ad Ankhekhonsu, sacerdote di Amon e scriba del granaio destinato alle offerte del dio, il cui nome e titolo ricorrono più volte sulla bara, insieme al nome della moglie del defunto, Henutnofret.
Il coperchio, in legno di cedro stuccato e dipinto, rappresenta il defunto mentre indossa una stola rossa incrociata sul petto e un ampio collare di perle e fiori di loto. Ci sono poi scene decorative di carattere religioso.
Il sarcofago è stato donato nel 1885 alla città di Bergamo da Giovanni Venanzi, console d'Italia ad Alessandria d'Egitto. 3000 anni di storia tradotti in pixel.

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A cura di Cinzia Leoni e Stefano Asprea

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